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Le perplessità sul ddl Zan


La polarizzazione del dibattito sul ddl Zan sembra aver eliminato qualunque ipotesi di analisi seria e tecnica sul testo. Scomparsa, sommersa da accuse di omofobia e di razzismo da un lato, e di distruzione della famiglia dall’altro. Ci sono molte ragioni e non sono quelle della Destra più becera di Salvini e Meloni, per cui essere contrari alla legge che presenta molte perplessità sia dal punto di vista giuridico, sia dall'ideologia che lo ispira.

Il primo problema della legge è l’idea di fondo, propugnata dai suoi estensori che appartengono in larga parte a quella cultura politica per cui per risolvere un problema specifico, in questo caso le aggressioni e le discriminazioni subite dagli omosessuali, basti emanare una legge e aumentare le pene (la legge Zan prevede: fino a 4 anni di detenzione e poi eventualmente 1 anno di domiciliari, lavori socialmente utili, cospicui risarcimenti, ritiro di passaporto, patente e documenti validi per l’espatrio, divieto per 3 anni di partecipare a una campagna elettorale). Secondo questa visione della realtà bisognerebbe normare su ogni questione sociale, visione che ha determinato l’attuale caos legislativo presente nel nostro ordinamento giuridico. 

Inoltre, è altresì discutibile, da un punto di vista strettamente giuridico (e garantista), l’idea che l’inasprimento delle pene abbia un effetto deterrente nei confronti di chi commette reati. La repressione è inefficace nel dissuadere dal violare la legge. Certamente alcune leggi possono innescare cambiamenti sociali, ma da sole non bastano. Difficilmente si potrà far scomparire ogni tipo di discriminazione legata all’orientamento sessuale degli individui, introducendo un’aggravante specifica per chi aggredisce o discrimina una persona omosessuale. Oltre a ciò bisogna aggiungere che in Italia non esiste alcun vuoto normativo nel caso di aggressioni. Pertanto non serve una legge ad hoc perchè nel caso di aggressioni di stampo omofobo, i giudici hanno già tutti gli strumenti giuridici per applicare aggravanti come gli abietti e futili motivi previsti dal Codice Penale.

La legge Zan poi introduce il principio non meglio precisato di “identità di genere“. Dal punto di vista biologico, i sessi sono 2, così come i generi: uomo e donna. Secondo questa legge invece, il genere non è altro che una sorta di costruzione sociale storicamente determinata. Attraverso il concetto di identità di genere si vorrebbe scardinare questo paradigma. Non conta il sesso biologico, ma l’identità che la singola persona percepisce e poi dichiara in un documento. Tutto ciò potrebbe portare a gravi implicazioni. Uomini che accedono agli spazi (bagni pubblici, spogliatoi) riservati alle donne. Atleti trans ex uomini che gareggiano nelle stesse competizioni femminili alterandone il risultato. Oltre a questo poi in California (un Paese dove quest'idea è penetrata nell'ordinamento) accade che molti uomini, una volta arrestati, si dichiarano donne perpetrando violenze e stupri nelle carceri. Tutto ciò è stato contestato persino da Arcigay e da molte femministe perché cancella secoli di battaglie volte al riconoscimento della diversità fra i generi. Le associazioni femministe hanno poi criticato il riferimento alle donne (che sono la maggioranza della popolazione) in una legge dedicata alle minoranze.

Un altro aspetto critico della legge Zan riguarda l’obbligatorietà dei corsi nelle scuole gestiti da associazioni LGBT (a proposito della mentalità da stato etico). In un Paese in l’ora di religione è facoltativa, demandata alla libera scelta dei genitori, non è accettabile che si impongano ai giovani e alle famiglie corsi di questo tipo. Se si volesse veramente insegnare il rispetto di ogni individuo a prescindere dall’orientamento sessuale, basterebbe istituire nelle scuole l’ora di educazione civica. L'articolo 7 poi prevede il finanziamento delle associazioni LGBT con una cifra di 4 milioni di euro ogni anno che andrebbero senza alcun motivo a sussidiare associazioni private. 

Nell'articolo 4 della legge poi si legge che "sono ammesse tutte le idee ed opinioni purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Ma chi decide quando idee ed opinioni liberamente espresse possono determinare un concreto ed effettivo pericolo? La legge lascia ai magistrati eccessivi margini di discrezionalità per stabilire quali idee sono da considerarsi punibili e quali no. L’indeterminatezza del precetto penale non è mera questione accademica perchè come farà l’interprete a stabilire quando quelle parole di incitamento siano da considerare penalmente rilevanti? Il pericolo è che, allora, la vaghezza del precetto finisca con l’attribuire all’interprete il compito di stabilire, egli, quando si è dinnanzi ad un discorso di odio; cioè quando un’opinione integra un crimine.  Si tratta di panpenalismo, che altro non è, come avvertito da autorevoli giuristi, che la delega dell’etica pubblica alle aule giudiziarie.

Un'altra criticità del ddl consiste poi nel restringere la portata del reato solo a questa forma di discriminazione e non alle altre, come per esempio la religione e la razza. Nella norma poi si dice che "le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee": le condotte legittime per definizione non possono costituire reato. Sono quarant’anni che lo sostiene la dottrina in attuazione dell’articolo 21 della Costituzione, occorrerebbe piuttosto applicarlo. La proposta di legge quindi è il trionfo della stabilizzazione dell’emergenza: si legifera sulla spinta incalzante della emotività, senza davvero ragionare in termini penalistici e gius-filosofici, senza valutare concretamente l’impatto che una data norma finirà per produrre nel cuore della nostra società. In ogni caso, ammesso e non concesso che sia dirimente una legge specifica sul tema, ciò che non è accettabile è la pretesa di approvarla in fretta e furia, senza modifiche e senza prima un vero dibattito. Meglio allora nessuna legge che una legge dubbia, ideologica e dai risvolti incerti e potenzialmente dannosi.

L.G.

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